Giardinaggio Eco-logico

di Riccardo Albericci

Quando si vuole declinare un giardino in chiave mediterranea ci si rivolge a una tipologia di piante che, per loro caratteristiche intrinseche, hanno elevata capacità di adattamento a lunghe estati siccitose e calde ma pure a inverni miti e stagioni intermedie piovose: l’areale mediterraneo è vasto e diversificato se pensiamo che già tra Italia e Spagna sussistono caratteristiche climatiche differenti in termini di intensità e durata del calore estivo. Se poi ci spostiamo in nord Africa o in Turchia, le differenze si accentuano pur conservando similitudini.

Gli ambienti naturali che sulla Terra possono essere paragonati ai nostri sono presenti in California, Sudafrica, America mesomeridionale e Australia meridionale. In questi areali climatici le piante si sono evolute in funzione della scarsa disponibilità idrica stagionale e delle temperature minime e massime annuali, come da noi: abbiamo perciò a disposizione un patrimonio botanico vastissimo di piante capaci di vivere alle medesime condizioni ambientali italiane (centro-meridionali). 

Esiste quindi la possibilità (anzi, la necessità) di spostare il baricentro culturale del giardino che tradizionalmente è imperniato più a nord ovvero in clima continentale, dove largamente si fa ricorso al tappeto erboso e a piante come ortensie (Hydrangea non è un nome a caso), azalee e rododendri e molte altre dal medesimo carattere rustico. 

Vale la pena ricordare che gli inglesi venivano sulla riviera ligure a costruire giardini proprio per veder crescere ciò che da loro era ambientalmente impossibile in quanto spiccatamente esotico. Andrebbe invece rivalutata l’esperienza che ci hanno lasciato i giardini di acclimatazione come eredità colturale e culturale, un tesoro che nella prospettiva di un cambiamento climatico ormai divenuto realtà costituisce una fonte di informazioni orticole importantissima. 

Ci troveremo presto, con buona probabilità, a dover pensare seriamente a quali riflessi ci saranno in termini di necessità irrigue ogniqualvolta affronteremo la progettazione di un giardino. Ecco allora che le esperienze sopra citate rappresentano un cancello di ingresso a un profondo cambiamento di paradigma del giardino mediterraneo.

Un giardino di acclimatazione

Un sodalizio professionale

Dovremo dire addio ai prati? O rinunciare a piantare camelie e ortensie? Smettere di costruire impianti irrigui? Non è proprio questo l’obiettivo prefissato, piuttosto quello di orientarci verso nuovi concetti di verde (pubblico e privato), perché se da un lato è una esigenza ecologica dall’altro è una opportunità. Si prepara l’occasione di dare più spazio a nuove piante forse meno conosciute ma più adatte a vivere con noi in ambiente mediterraneo.  

Fare, cioè, giardinaggio eco-logico; usare la logica della natura per realizzare giardini e verde pubblico più compatibili con il clima dell’ambiente in cui si realizzano. 

In questo occorrerebbe un’alleanza, un sodalizio: chi progetta e realizza il verde deve conoscere le piante che vuole utilizzare e scegliere quelle maggiormente adatte, stravolgendo anche  il “modus operandi” fino a oggi adottato. Chi gestisce il verde, invece, deve aggiornarsi su come vanno curate tali specie vegetali e gestiti i relativi giardini, e anche quale sia l’assetto del verde desiderato affinché lo si possa portare a stabilità ed equilibrio.

Un esempio pratico

Supponiamo che a margine di un prato dotato di impianto irriguo venga scelto di impiantare una macchia di cisti; in un primo periodo potrebbe essere utile irrigare anch’essi per consentire agli arbusti di affrancarsi, ma mantenere una programmazione periodica intensa (anche d’estate) espone le radici dei cisti a marciumi. Negli ambienti naturali, durante l’estate, i cisti non bevono quasi: capaci di sfruttare al meglio i temporali estivi, loro attraversano la stagione siccitosa in condizioni per la maggior parte aride. Disponendo di un impianto irriguo laddove si coltivano cisti (e come loro le altre piante di ambienti mediterranei) è preferibile simulare i temporali estivi e cioè bagnare anche fino a saturazione del terreno ma solo occasionalmente. In questo modo useremo la tecnologia adottando però la logica della natura, ovvero eco-logicamente.

In fase progettuale, l’adozione di piante mediterranee  porta con sé un impianto irriguo a goccia che le aiuti ad approfondire le radici in modo che possano garantirsi autonomamente l’approvvigionamento idrico, ma per giungere a tale risultato i cicli irrigui dovranno variare nel tempo e, se durante una primissima fase può essere vantaggioso irrigare con frequenza giornaliera, col passare delle settimane l’intervallo di adacquamento deve necessariamente diradarsi e portarsi su turni settimanali o bisettimanale, per poi gradatamente arrivare alla chiusura dell’impianto allorquando le radici si saranno approfondite: da quel momento in poi – a obiettivo raggiunto – il risparmio idrico sarà del 100% e l’affrancatura delle piante completata.

Con “specie mediterranee”, come abbiamo già detto, si intendono dunque tutte quelle evolutesi in ambienti equivalenti e non solamente le specie autoctone: è con questa visione che un giardino può acquisire novità, colore, variabilità, profumi e soprattutto esprimere una identità propria, che è tipica di ogni giardino. Siamo portati ormai a non farci più caso, ma tante specie largamente usate nei giardini della nostra penisola non hanno origini mediterranee: la Bougainvillea è sudamericana, il pittosforo è asiatico, i Callistemon sono australiani e i mesebriantemi sono sudafricani. Esse sono diventate caratteristiche dei nostri giardini e non possiamo ignorarle in nome di una sostenibilità ambientale che, va ricordato, in un giardino non trova fondamento in quanto esso è frutto dell’ingegno umano e del suo lavoro. 

La Natura si fa da sé seguendo logiche analoghe ma con una reale autosostenibilità, che coinvolge non solo gli elementi vegetali ma il complesso dei viventi di un ambiente attraverso un dinamismo molto complesso e che segue tempi diversi dal nostro ordinario, pertanto replicabili con difficoltà in un cosiddetto giardino dove peraltro il nostro apporto di lavoro è frequente (si spera).

Quali specie?

Giunti alle porte di un periodo – chissà quanto lungo e chissà quanto intenso – di surriscaldamento climatico che condizionerà anche la vegetazione, l’idea di utilizzare piante a clima mediterraneo nelle città – che notoriamente sono più calde degli ambienti naturali – potrebbe apparire già sorpassata, per quanto costituirebbe già un notevole passo avanti rispetto ad alberi e arbusti di areale continentale ovvero di piante per le quali il caldo estivo e l’allungamento di periodi siccitosi sta diventando intollerabile. 

Forse ci si dovrebbe già orientare verso piante originarie dei deserti, da cui però possiamo trarre meno specie di quelle disponibili dagli ambienti mediterranei, dotati di maggiore biodiversità. 

Una importante azione che si può avviare, invece, sarebbe quella di stimolare le produzioni vivaistiche verso nuove essenze perché – sebbene la flora mondiale sia ricchissima di specie interessanti dal punto di vista ornamentale – presso i vivai si possono trovare principalmente quelle che il mercato richiede maggiormente. 

Se cominciassimo a ricercare piante a basse necessità irrigue,  per i vivai – attori altrettanto importanti nel processo di cambiamento – sarebbe relativamente complicato introdurre nei cicli produttivi interessanti specie nuove, capaci di soddisfare paesaggisti, giardinieri, cittadini e politici. 

Gli orti botanici e i giardini di acclimatazione sono facili serbatoi da dove poter attingere e le esperienze dei coltivatori californiani o australiani possono rivelarsi assai proficue in tal senso. Ad esempio, dove trovare Ehretia anacua, Searsia lancea, Dermatophyllum secundiflorum, Sapindus drummondii ovvero begli alberi di modeste dimensioni provenienti da ambienti semidesertici se non presso collezioni botaniche? 

Non si può tuttavia trascurare un aspetto determinante in questa azione ovvero le potenziali capacità invasive di talune specie nei confronti degli ambienti naturali: i danni ecologici che le specie invasive compiono nei confronti dell’ambiente hanno sempre origine antropica, quindi è fondamentale rispettare pedissequamente le linee di comportamento indicate dagli organismi internazionali che osservano e registrano tali minacce, come EPPO.

Per il momento ci possiamo almeno orientare a individuare nei cataloghi vivaistici le piante a ridotto fabbisogno idrico per comporre il nostro verde del futuro, per far sì che l’irrigazione sia una attività di garanzia e non di necessità.

Riccardo Albericci

Agroflortecnico-botanico, diplomato alla scuola agraria di Genova S.Ilario, lavora inizialmente per il Comune di Genova. Nel 1992 viene destinato alla conduzione tecnica del parco Durazzo Pallavicini di Genova Pegli e dell’annesso giardino botanico “Clelia Durazzo Grimaldi, esperienza che si protrarrà fino al 2017 e durante la quale ha modo di approfondire gli aspetti storico-culturali e colturali della collezione di camelie ottocentesche del parco.
Nel 2002 confluisce nell’azienda comunale A.S.Ter. e dopo pochi anni viene aggregato all’Ufficio Progettazione per contribuire a una serie di interventi di restauro sui parchi storici cittadini.
Tra il 2019 e il 2023 si cimenta nella grande opera di riqualificazione delle aiuole soprastanti il torrente Bisagno nel quartiere Foce.
Parallelamente si susseguono esperienze di riqualificazione per le alberate cittadine, di progetti per il verde urbano, di docenze, di attività divulgative, conferenze, visite guidate pubbliche, e di realizzazioni espositive tra cui le diverse edizioni di Euroflor.
Fa parte di Pubblici Giardini (delegato Liguria) dal 2010 e della Società Italiana della Camelia.