


In questo numero:
- Climatizzare le politiche locali
Elena Granata - Cambiamenti climatici e verde urbano
Andrea Cicogna - Il verde è salute
Pier Mannuccio Mannucci - Analisi dell’isola di calore superficiale tramite dati satellitari a supporto alle pubbliche amministrazioni
Marco Morabito
Giulia Guerri
Gennaro Albini - Paesaggi di domani
Pierpaolo Tagliola
Emanuele Bortolotti
Edoardo Rebay - La biodiversità, un alleato contro insetti, patologie e cambiamento climatico
Andrea Tantardini
Anna Borghi
Vedi gli altri numeri di Harpo Digital Magazine
- Harpo Digital Magazine – N°4-2025 – Terra. Risorse naturali e soluzioni sostenibili per resilienza e benessere – Elena Granata
- Harpo Digital Magazine – N°3-2024 – Effetto clima. Climatizzare le politiche locali
- Harpo Digital Magazine – N°2-2024 – Città verdi: il futuro sostenibile si avvicina alla natura
- Harpo Digital Magazine – N°1-2023 – Acqua: elemento vitale per la nostra esistenza
Paesaggi di domani
di Pierpaolo Tagliola con contributi di Emanuele Bortolotti ed Edoardo Rebay – AG&P greenscape
I cambiamenti climatici sono già tangibili, con ondate di calore e variabilità meteorologica estrema. L’architettura del paesaggio può giocare un ruolo fondamentale nella mitigazione di questi effetti. Tuttavia, per affrontare efficacemente queste sfide, sono necessari nuovi approcci progettuali che considerino parametri cruciali come l’incremento delle temperature medie, l’effetto isola di calore urbano e la gestione sostenibile delle risorse idriche. Sperimentazioni sono già in corso con l’obiettivo di migliorare l’efficienza ambientale nel progetto delle aree urbane e garantire ai cittadini il diritto di un benessere ambientale sul lungo periodo.

Nel 2070 il clima di Milano si dovrebbe avvicinare a quello di Austin in Texas -registrando da maggio a settembre temperature sopra i 30 gradi – e un terzo dell’umanità potrebbe vivere in regioni calde come il Sahara*.
Tutti i modelli climatici indicano che le condizioni in cui viviamo sono cambiate, ma soprattutto che cambieranno ancora. A differenza del passato possiamo però già percepirle sulla pelle, anche alle nostre latitudini. Le ondate di calore, la mancanza di pioggia per lunghi periodi alternata a improvvisi temporali di forte intensità, ci hanno convinto che il cambiamento climatico esiste ed è già qui.
Può l’architettura del paesaggio combattere un mutamento di tale portata? La risposta va trovata a livelli diversi e globali, ma possiamo dire con certezza che questa disciplina può aiutare a mitigarne gli effetti.
Tra l’estate del 2022 e del 2023 nella sola Torino, città ai piedi delle Alpi, sono stati abbattuti qualcosa come 3000 alberi, un danno enorme per le nostre città. Sono episodi con ricadute negative multiple e concrete, con l’effetto secondario di auto-alimentare le ricadute, poiché gli alberi persi corrispondono a migliaia di metri quadrati di ombra mancati.
Una nuova disciplina progettuale
Per far sì che i nuovi progetti siano più efficaci in queste condizioni ci sono almeno 3 parametri che vanno tenuti in considerazione:
- La soglia del mezzogiorno è di fatto salita di latitudine, le temperature medie più elevate, le massime più persistenti
- L’effetto isola di calore nelle città si manifesta in un sostanziale annullamento dell’escursione termica, che per molte piante può essere più deleterio che il singolo picco di calore
- Sempre più spesso capita di lavorare su soletta, e alla riduzione del terreno disponibile corrisponde una riduzione delle capacità volàno e quindi maggiorazione degli effetti di cui sopra.
Per tutti questi motivi la disciplina progettuale di oggi deve sapersi adattare alle nuove condizioni.

A livello di vegetazione i primi esperimenti sono stati condotti su terrazzi e su giardini pensili, in cui la carenza di substrato e di umidità di risalita e la forte esposizione all’irraggiamento solare, creavano condizioni simili ai climi mediterranei con la differenza che alle latitudini del nord, anche gli inverni erano rigidi e si è dovuto sperimentare molto per trovare le piante corrette.
È essenziale perseverare nelle sperimentazioni, considerando che le condizioni attuali sono già mutate con inverni meno rigidi. È importante quindi continuare a cercare nuove soluzioni, tramite le prove di ricerca universitaria, ad esempio come i test condotti da Fini, Frangi, Ferrini sugli effetti delle pavimentazione a carico degli alberi, ma anche tramite i professionisti di settore, come Vivaio Valfredda, che testa varietà tipiche di climi del sud per vedere come rispondono ai climi del nord. In riferimento a ciò, è bene inoltre considerare che il dry garden non è necessariamente mediterraneo ma è un giardino altamente autosufficiente che vive in sinergia con il microclima locale. A questo si aggiunga che in un mondo in così rapido cambiamento, sapendo che la genetica impiega centinaia di anni per evolversi, in ambiente urbano è riduttivo rifarsi alle sole piante autoctone, che anzi proprio perché le condizioni sono cambiate così rapidamente, non riescono più a garantire le performance che hanno in ambiente naturale e al contrario si trovano spesso in condizioni di stress.
Buone pratiche per i prati

A livello vegetazionale anche i prati meritano menzione. Ora stiamo assistendo a un cambiamento verso una sensibilità più naturalistica ma arriviamo da decenni di cultura del prato inglese. Con le estati che stiamo vivendo non è però possibile perseverare nell’adozione di un modello in cui per 1000 m2 di tappeto erboso si possono consumare 5000 litri d’acqua al giorno.
È necessario riproporzionare le superfici alternandole a coperture arbustive con migliori performance, adottando nuove specie meno idrovore, o rifacendosi ai campi da golf. Proprio una delle sistemazioni più energivore contiene in realtà un principio utile al futuro, quello dello sfalcio differenziato, che nelle grandi superfici può aiutare a ridurre i consumi e le manutenzioni aumentando di molto la biodiversità.
Un altro punto su cui è fondamentale lavorare è la qualità del terreno e dei substrati. Le proprietà del terreno sono precursori di come saranno le radici in futuro e, di conseguenza, di quanto le piante saranno in grado di resistere a condizioni di stress. Servono terreni e substrati performanti e stabili nel tempo per poter garantire successi di lungo periodo, anche e soprattutto in condizione di verde pensile ove l’improvvisazione non può avere successo.
L’architettura del paesaggio
La componente agronomica, certamente fondamentale, non deve essere l’unica a guidare il Paesaggista in questa difficile sfida. L’ombra e il comfort termico sono temi sempre più cruciali, pertanto non dovrebbero essere solo intese come condizioni preesistenti, ma considerati ed integrati nel processo di progettazione.
Dobbiamo imparare da quanto dicono i modelli climatici sul futuro e guardare nella medesima direzione, adottando nelle città di oggi, quelle strategie che già con successo sono state pensate per le attuali “città aride”. Progettare l’ombra dove questa non c’è; adottare largamente come suggerisce ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – l’utilizzo dei sistemi verdi sia in facciata che sui lastrici solari; riproporzionare le superfici pavimentate con quelle a verde per massimizzare gli scambi di; adottare pavimentazioni permeabili per favorire lo scambio termico; cambiare il paradigma di smaltimento dell’acqua, da scarto da allontanare, a risorsa da mantenere in loco nella direzione della città spugna, a beneficio del ciclo di vegetale ma anche della mitigazione termica.
In sintesi è auspicabile adottare le NBS – Nature based solutions – come strumento di base nella progettazione urbana e far sì che queste logiche vengano portate su grande scala. Ritengo – ed è un tema a cui tengo particolarmente, che è necessario tornare ad avere il coraggio di piantare grandi alberi, gli stessi che piantati 100 anni fa, rendono splendidi e più freschi i nostri viali di oggi. Le sperimentazioni effettuate cominciano a dare qualche riscontro concreto: ad esempio il programma di corridoi verdi di Medellin sembra abbia portato ad un abbassamento di temperatura di 2° in 3 anni, un risultato decisamente importante che può dare concreta speranza per i progetti del futuro.
In questo modo forse l’architettura del paesaggio non potrà sconfiggere il cambiamento climatico, ma potrà certamente aiutare a mitigare gli effetti. E’ quindi una responsabilità della professione pensare che questa disciplina può non solo migliorare la vita delle persone, ma essere parte attiva e rilevante della serie di misure che, prima a livello politico e istituzionale e poi a livello progettuale e realizzativo, vanno messe in campo per garantire ai cittadini il diritto ad un benessere ambientale sul lungo periodo.
*Fonte: National Risk Assessment: Hazardous Heat.
Pierpaolo Tagliola
Agronomo e Architetto Paesaggista, ha una formazione trasversale in materia di paesaggio.
Dal 2008 è consulente di AG&P greenscape, di cui è Technical Manager e responsabile della sede di Torino. Relatore in corsi di Architettura del paesaggio presso il Politecnico di Torino e Milano e insegnante presso l’Italian Design Institute, vede l’esperienza diretta dal progetto al cantiere in un’ottica arricchente e continua. Segue progetti in Italia e all’estero dalla piccola alla grande scala, dalle idee di concept fino ai grandi cantieri, come il Parco Biblioteca degli Alberi di Milano e il recente Pocket Campus Bernini. Negli ultimi anni ha partecipato a diversi importanti progetti AG&P, tra cui il nuovo Parco Te a Mantova, CityWave con BIG e i progetti di rinnovo della città di Genova, inclusi il Tunnel subportuale e il Waterfront di Levante con Renzo Piano Building Workshop.
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