Un numero sempre maggiore di Committenti ed investitori sente la necessità di gestire la propria attività in modo Humanity centered, in cui l’aspetto ambientale si sposa a quello del sociale e coinvolge tutti i componenti del processo produttivo, tenendo ben presente quali sono le attuali esigenze umane.
In mano ai giovani progettisti, come l’Arch. Carmagnani, il verde pensile diviene uno strumento ricco di contenuti sociali ed ambientali.
Questa intervista è l’incipit di una serie in cui cercheremo di coinvolgere progettisti con una forte attitudine ed impegno in tal senso e siamo orgogliosi di aver iniziato con Lei.
Si può presentare brevemente?
Sono Elena Carmagnani, architetto PhD. Da vent’anni lavoro nel campo della progettazione architettonica con una particolare attenzione all’edilizia sostenibile, alla rigenerazione urbana e ai processi di innovazione sociale.
Nel 2015 ho co-fondato con Emanuela Saporito OrtiAlti, un’organizzazione non-profit di architetti, community planners, agronomi ed educatori che si occupa di progetti di rigenerazione di spazi urbani sotto-utilizzati, in particolare tetti piani, attraverso soluzioni nature-based. Utilizziamo una metodologia di codesign che coinvolge i beneficiari delle realizzazioni nella progettazione e nella gestione. Lavoriamo con enti pubblici, del terzo settore, fondazioni bancarie e aziende della grande distribuzione, come Carrefour, Leroy Merlin o Eataly, interessate a sperimentare l’ortoalto come innovazione nell’ambito della loro corporate social responsability.
Torino è una città con una grande tradizione sul verde urbano. Qual è a suo avviso l’attitudine attuale rispetto a questo tema?
Torino è in effetti una delle città più verdi d’Italia, basti pensare che oltre il 35% della superficie del Comune è costituita da aree verdi: le aree boschive della collina, oltre il fiume Po, i grandi parchi urbani intorno alla città, gli orti urbani, le aree agricole ma anche i tanti giardini pubblici all’interno della città consolidata. Un patrimonio ricchissimo su cui la Città sta fortemente investendo. Nel 2021 è stato adottato il Nuovo Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde, uno strumento di analisi e di programmazione per indirizzare gli investimenti e le politiche di gestione del sistema del verde urbano pubblico torinese nei prossimi decenni, integrativo degli strumenti di pianificazione urbanistica. È un documento importante che parte dal greenprint della città, cioè dall’analisi quantitativa e qualitativa del sistema del verde pubblico, per poi analizzare anche dal punto di vista economico i servizi ecosistemici generati dall’infrastruttura verde. Emergono qui numerosi elementi innovativi che connotano Torino come città all’avanguardia su questi temi, per esempio le strategie per rafforzare la biodiversità urbana o l’introduzione di nuove forme di partenariato pubblico-privato per il potenziamento del sistema del verde.
Concretamente può citare alcune iniziative in Piemonte in cui le NBS rivestono un ruolo da protagonista?
Da alcuni anni la Città di Torino sta sperimentando le Nature-based solutions come strategie ambientali e di coinvolgimento delle comunità.
Basti citare il progetto europeo nell’ambito del programma Horizon2020 “ProGireg-productive Green Infrastructure for post-industrial urban regeneration’: nature for renewal” che vede la Città di Torino coinvolta dal 2018, come front runner city insieme a Dortmund e Zagreb. A Torino il Living Lab di Progireg, cioè l’area di sperimentazione, è il quartiere di Mirafiori sud che ha visto negli ultimi anni la sperimentazione e messa in pratica di sette diverse NBS: un nuovo substrato rigenerato, orti urbani comunitari, acquaponica, pareti e tetti verdi, corridoi verdi accessibili, processi locali di compensazione ambientale, biodiversità degli insetti impollinatori. La nostra associazione OrtiAlti è uno dei partner torinesi del progetto a fianco della Città di Torino, del Politecnico, dell’Università degli Studi di Torino, di Environment Park. Un importante ruolo per la nostra associazione che segue la realizzazione di un tetto verde su un edificio pubblico e di un pollinator garden per le comunità di Mirafiori.
L’esperienza derivante da questi anni di attività con l’associazione Orti Alti, di cui è cofondatrice, Le conferisce una importante autorevolezza. In che modo pensa di poter contribuire ad una maggiore diffusione delle infrastrutture verdi urbane?
La principale mission di OrtiAlti da quando è stata creata, nel 2015, è quella di diffondere le pratiche di rigenerazione urbana attraverso le NBS. Quando siamo partite questi temi in Italia erano davvero pochi conosciuti e abbiamo dedicato moltissimo tempo alla loro divulgazione, attraverso convegni e lectures in tutta Italia, partecipazione a programmi radiofonici e televisivi, attività di ufficio stampa. Grazie soprattutto al premio di Expo Milano che abbiamo vinto nel 2015 abbiamo avuto la possibilità di parlare di questi temi anche in contesti non specialistici e credo che questo sia molto importante se si vuole che davvero fare la differenza: uscire dagli ambiti troppo autoreferenziali della propria professione e trovare strumenti e modalità di comunicazione e coinvolgimento del pubblico innovativi e partecipativi. La nostra metodologia mette al centro la comunicazione e il coinvolgimento delle comunità e per questo lavorano con noi esperti di comunicazione, attivatori di comunità ed educatori ambientali.
Secondo Lei quali sono le ricadute delle NBS sul sociale?
L’utilizzo della componente naturale è oggi considerato uno strumento importante a supporto dei processi di riqualificazione urbana e le NBS hanno un ruolo centrale nello sviluppo di nuovi modelli di azione, in grado di coniugare le esigenze ambientali con quelle sociali ed economiche. L’efficacia delle NBS e il loro impatto sono strettamente connessi alla loro governance, in particolare alla definizione di un approccio strategico che ricerchi benefici a lungo termine, ma rimanga flessibile ai cambiamenti nel tempo. In quest’ottica il ruolo delle comunità è centrale: le NBS sono elementi antropici che devono essere protetti, curati, ripristinati e mantenuti e la loro attuazione deve essere supportata anche da una pianificazione e gestione comunicativa e socialmente inclusiva, sviluppata in collaborazione tra autorità locali e gli stakeholder.
Quali sono gli aspetti interessanti della riqualificazione delle ex fonderie Ozanam sia in termini tecnici che strategici?
Quando è nata OrtiAlti, nella fase di definizione e verifica del modello di impatto e di business, abbiamo realizzato il nostro progetto-pilota sul tetto di una ex fonderia costruita negli ’30 del ‘900 nella periferia nord di Torino, le Fonderie Ozanam. Il complesso industriale era allora prevalentemente dismesso e solo alcune parti erano state riqualificate. Si trattava dunque di un contesto molto sfidante, con infiniti scenari di sviluppo, in cui testare la nostra ipotesi dell’ortoalto come strumento di rigenerazione urbana. Abbiamo coprogettato l’ortoalto con la cooperativa sociale che in questo edificio gestiva – e gestisce tutt’ora- un ristorante di comunità e, dopo un’intensa campagna di fundraising, abbiamo reso accessibile il grande tetto piano del ristorante e realizzato un orto pensile che produce vegetali per la cucina del ristorante, curato dal loro personale, formato prevalentemente da ragazzi disabili e in difficoltà. La nostra sperimentazione non si è fermata qui perché l’ortoalto è stato l’innesco di un processo di rigenerazione che ha interessato tutto il complesso, a dimostrazione della nostra ipotesi di partenza. L’ortoalto ha infatti acceso un faro su un edificio pubblico abbandonato e dimenticato, la Città di Torino ne ha colto le opportunità e l’ha inserito in un programma di rigenerazione urbana con fondi europei che ha permesso di riqualificarlo, con un approccio green nato dall’ortoalto. Oggi il complesso è un community hub con orti, giardini pensili melliferi, sistemi di drenaggio delle acque piovane e un progetto di micro-foresta in corso.
Qual è il futuro prossimo delle NBS e delle infrastrutture verdi in generale ed in particolare degli orti pensili?
Per rispondere a questa ultima domanda vorrei citare il libro “Come fare… l’orto sul tetto”, edito da Simone Editore che io ed Emanuela Saporito abbiamo pubblicato nel 2020. Quando lo abbiamo scritto non immaginavamo che di lì a pochi mesi ci saremmo ritrovati nella più grande crisi sanitaria dell’ultimo secolo. La pandemia da COVID-19 ci ha catapultati in brevissimo tempo in una realtà che ci obbliga a ripensare in modo sistemico e integrato la relazione tra uomo e natura. Nell’introduzione al libro mettiamo a fuoco due lezioni che ci sembra importante apprendere dalla crisi che stiamo vivendo. Le riportiamo qui a chiusura di questa intervista: “La prima lezione è che se ognuno di noi fa la sua parte, le cose possono cambiare sul serio: è bastato che l’uomo arretrasse per un attimo e che ciascuno di noi cambiasse le proprie abitudini di vita, per rivedere la natura riprendere i suoi spazi, mostrando la sua potente bellezza anche nei nostri centri urbani, dagli anatroccoli in centro a Torino, all’acqua limpida dei canali di Venezia. Se allora ciascuno di noi ripopolasse di piante e varie specie vegetali tutte le superfici costruite dei nostri centri urbani, scopriremmo che il ripristino ecosistemico, con conseguenze sul ritorno degli impollinatori in città, l’abbattimento delle isole di calore urbano, il contenimento degli effetti di dilavamento meteorico, non sarebbero solo impatti potenziali, ma effetti reali. C’è poi un altro aspetto che questo libro contribuisce a mettere a fuoco, ovvero l’importanza per ciascun abitante della Terra di avere libero accesso ad uno spazio verde di qualità e di prossimità. La condizione di confinamento nello spazio domestico, a cui tutti siamo stati costretti per almeno due mesi, ci ha permesso di provare sulla nostra pelle quanto sia indispensabile per il nostro benessere psico-fisico poter godere di uno spazio verde. Annettere allo spazio dell’abitare un pezzo di terra da curare e coltivare, andando a colonizzare con piante, specie vegetali ed arboree, balconi, terrazzi, tetti piani degli edifici o dei garage, non è più una prospettiva futuristica, ma anzi si configura come un vero e proprio diritto per ciascun abitante urbano. La buona notizia, a nostro avviso, è che abbiamo già la conoscenza e gli esempi concreti – e lo vedremo in questo libro – da cui partire per iniziare sin da subito a cambiare il nostro modo di abitare il pianeta e così contribuire, con le scelte di ognuno di noi, a prenderci cura della salute futura dell’umanità e della Terra. Si dice che, per ampliare i propri orizzonti, sia necessario cambiare il punto di vista. Noi vi proponiamo di salire sui tetti e da lì guardare alle vostre città con la prospettiva di chi sa che non c’è molto tempo da perdere, ma ha un grande potenziale ancora da sfruttare. E allora, perché non cominciare immediatamente a cambiare il pianeta, trasformando i nostri tetti in meravigliosi spazi verdi coltivati?